«Così sono cadute tante ambiguità. Pagina da chiudere, ma non è vendetta- Corriere.it

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Ministra Cartabia, dopo decenni le autorità francesi accolgono le nostre richieste e arrestano i terroristi italiani che si sono rifatti una vita in Francia. Lei come titolare della giustizia ha gestito questa ultima fase. Cosa è cambiato rispetto al passato?
«Questa vicenda si protrae da oltre quattro decenni. Dietro questa svolta c’è un lavoro che ha coinvolto negli anni vari soggetti a più livelli. Sin dal mio primo colloquio col ministro della Giustizia francese ho percepito una chiara sensibilità alla portata storica e politica del problema, un’umana partecipazione al dolore delle vittime e una netta determinazione ad impegnarsi per porvi rimedio. Non so se le origini italiane del ministro Dupond-Moretti, di cui va molto fiero, possano aver giocato un ruolo. Decisivo è stato anche il fatto che, mai come ora, tutte le nostre istituzioni si sono mosse in modo compatto e tempestivo. Una modalità d’azione, a cui ispirarsi sempre».

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L’Eliseo ha confermato la dottrina Mitterand, ma ha concesso quello che prima negava. Perché?
«Nel colloquio con Dupond-Moretti ho ribadito con fermezza l’importanza del fattore tempo, avendo ben presente il calendario delle imminenti prescrizioni. La prossima sarebbe stata il 10 maggio. E ho voluto anche fare chiarezza una volta per tutte sul duplice equivoco, che per anni ha ostacolato la concessione delle estradizioni: anzitutto stiamo parlando di persone condannate in via definitiva per reati di sangue e non processate per le loro idee politiche; in secondo luogo le condanne sono state pronunciate all’esito di processi celebrati nel pieno rispetto delle garanzie difensive del nostro ordinamento. Come in questi anni più volte è stato ricordato, con le parole di Sandro Pertini, “l’Italia ha sconfitto gli anni di piombo nelle aule di giustizia e non negli stadi”».


L’amicizia fra Draghi e Macron ha avuto un ruolo?
«So per certo che c’è stata una telefonata, ai miei occhi decisiva, tra il presidente Draghi e il presidente Macron».

Quanto ci vorrà per l’effettiva estradizione in Italia?
«Difficile fare previsioni precise, anche perché si tratta di fascicoli complessi. Di certo, io direi non dobbiamo aspettarci un rientro a breve, nei prossimi giorni. Gli arresti di ieri servivano a scongiurare il pericolo di fuga. Ora i giudici valuteranno se convalidarli e se applicare misure cautelari. Poi inizieranno i procedimenti, per valutare caso per caso la sussistenza dei presupposti per la concessione dell’estradizione. E poi ancora, come sempre avviene in queste procedure, l’ultima parola è dell’autorità politica».

Cosa garantisce che queste persone arrivino in Italia? Negli anni ’80 a diversi arresti in Francia non è seguita poi l’estradizione.
«Come accennato poco fa, la procedura è ancora molto lunga e articolata e soggetta a specifiche valutazioni che terranno conto dei singoli casi. Per questo, gli esiti sono ora tutti nelle mani dell’autorità giudiziaria francese. Certamente, il clima in cui questa svolta è avvenuta mi pare molto diverso rispetto ad allora».

Che giustizia è quella attuata con tanto ritardo sui fatti contestati?
«Nessun ordinamento giuridico può permettersi che una pagina così lacerante della storia nazionale resti nell’ambiguità, e resti irrisolta. La storia offre numerosi esempi di giudizi celebrati e di vicende giudiziarie portati a compimento a molti anni di distanza. La nostra volontà di riproporre la richiesta delle estradizioni non risponde nel modo più assoluto ad una sete di vendetta, che mi è estranea, ma ad un imperioso bisogno di chiarezza, fondamento di ogni reale possibilità di rieducazione, riconciliazione e riparazione, fini ultimi e imprescindibili della pena».

Si può ancora parlare di rieducazione della pena a distanza di 40 anni?
«Qualunque processo di rieducazione e anche di riconciliazione personale e sociale, specie dopo ferite particolarmente profonde, non può non partire dal riconoscimento di ciò che è accaduto e da un’assunzione chiara di responsabilità. Non a caso, in Sud Africa, dopo l’Apartheid, è stata costituita una commissione denominata “verità e riconciliazione”. Questo è forse il primo rilevante esempio di giustizia riparativa, che tra l’altro ha ispirato un analogo percorso qui in Italia tra protagonisti della lotta armata e i familiari delle vittime».

La vicenda di Battisti e la confessione finale di diversi delitti, negati quando stava in Francia e in Brasile, può aver avuto un ruolo?
«Sicuramente questa vicenda ha contribuito a dare una visione più corrispondente alla realtà degli anni di piombo e quindi a creare anche in Francia un clima più favorevole all’accoglimento delle richieste italiane».

28 aprile 2021 (modifica il 28 aprile 2021 | 22:54)

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